L’escluso – meno 1

So che avrei dovuto resistere. So che, per il mio bene, per la mia serenità, avrei dovuto stringere i denti e sopportare in silenzio, facendo finta di niente, la sua fastidiosa e inquietante presenza. Lo so, lo sapevo, ne ero perfettamente consapevole, ma non ce l’ho fatta a resistere. Come l’uomo che uccide pur sapendo benissimo l’inferno che lo attende.
Non ce l’ho fatta a resistere e ho rivolto la parola al Nero. Non aspettava altro. Si era finalmente mostrato e proprio perché gli rivolgessi la parola, ma non avrei dovuto farlo. Per il mio bene, per la mia serenità avrei dovuto resistere, avrei dovuto stringere i denti e sopportare in silenzio la sua presenza, facendo finta di niente.
Eravamo nella mia camera. Il Nero, in piedi accanto alla finestra, mi fissava e sorrideva, con quel suo sorriso beffardo che non abbandonava mai il suo volto affilato, neppure per un istante. Io me ne stavo seduto in poltrona. Abbandonato più che seduto, un cumulo di vestiti con un po’ di carne dentro gettati sulla poltrona. A un certo punto la sua presenza e soprattutto il suo sorriso, fisso, sempre fisso su quella faccia affilata, come se indossasse una maschera, mi sono diventati insopportabili e sono scoppiato. Non ce l’ho fatta più e sono scoppiato.
– Si può sapere cosa cazzo vuoi da me? – ho gridato con tutto il fiato che mi restava nei polmoni bruciati, inceneriti, sporgendomi con il busto in avanti e aggrappandomi con forza ai braccioli della poltrona, come se temessi di cadere.
– Oh… Finalmente ce l’hai fatta. Stavo iniziando a perdere la pazienza, – ha sospirato il Nero mutando l’espressione del viso, togliendosi finalmente dalla faccia quel sorriso beffardo che mi dava il tormento.
– Allora non indossi una maschera, sai anche essere serio qualche volta, – ho detto a denti stretti, le labbra atteggiate a un sorriso smorzato. Lo odiavo, e odiando lui odiavo la parte peggiore di me stesso, perché era da lì che veniva il Nero, ne ero certo.
– Quando si tratta di affari sono sempre serio, mio caro Faustino. E per tua informazione, il fatto che il mio bel visino muti espressione non significa che non sia una maschera. Io sono costretto a indossare una maschera ogni volta che mi mostro a un uomo, perché nessun uomo potrebbe sostenere la vista del mio vero aspetto. Come non posso sostenerla io stesso, del resto. Posso accomodarmi?
– Fai come ti pare.
Il Nero ha preso la sedia della scrivania, l’ha sistemata davanti alla poltrona e si è accomodato, accavallando le gambe. Eravamo faccia a faccia, a mezzo metro di distanza. Alla puzza di uova marce che emanava dalla sua figura elegante, troppo elegante, ci avevo fatto l’abitudine ormai. Le mie narici si erano avvezzate a quel lezzo e non lo percepivo più.
– Voglio mettere subito in chiaro una cosa, – ho iniziato fissandolo dritto negli occhi. – Io non crederò a una sola delle tue parole, perché so bene che non esisti, che sei il frutto della mia mente esasperata, ormai a un passo dalla follia.
– Le tue riserve sono comprensibili, mio caro Faustino. Comprensibili e persino banali, lascia che te lo dica. Non intendo affatto contraddirti, non intendo affatto dimostrarti il tuo grossolano errore, perché di un grossolano errore si tratta, come sempre. Sarebbe tempo sprecato. Mi limito semplicemente a porti un quesito che hai già letto nel mio sguardo la prima volta che mi sono mostrato a te. Era notte e tu abbracciavi la povera Cécile, ricordi?
– Certo che ricordo. Come potrei dimenticarlo?
– Ebbene, mio caro Faustino, tu credi che un uomo, da solo, con le sue povere forze, possa fare, o forse, nel tuo caso, sarebbe meglio dire non fare, tutto questo? Tu credi davvero che un uomo possa cadere così in basso da sé, senza che ci sia io a dargli una spintarella? Credi davvero che sia possibile? Che sia verosimile?
– L’umana miseria non conosce limiti, – ho risposto borbottando.
– Ti sbagli, mio caro Faustino, ti sbagli. Tutto ciò che riguarda l’uomo ha un limite ben preciso, oltre il quale non si può andare. Ogni cosa, e così anche la miseria, la bestialità e via dicendo. Quando ti imbatti in una manifestazione di sopraffina crudeltà, di feroce e disumana bestialità, lì non è solo l’uomo ad agire, non può essere solo l’uomo. Lì intervengo io. Quando un uomo di trentadue anni, che si è sottoposto a diversi interventi di chirurgia estetica per rimodellarsi i connotati perché qualcuno gli aveva detto che aveva un naso da arabo, in uno dei paesi più civili e tranquilli del mondo, uccide a sangue freddo quasi ottanta persone, la maggior parte delle quali ragazzi, proclamandosi salvatore del cristianesimo, difensore della cultura conservatrice in Europa e così via, lì ci ho messo lo zampino io. Quando un giovane copilota di ventisette anni, depresso e tormentato da manie di grandezza, un povero Erostrato insomma, si rinchiude nella cabina di comando di un aereo e si va a schiantare contro una montagna uccidendo, oltre a sé, altre centoquarantanove persone, anche lì ci ho messo lo zampino io. Lo stesso vale per il triste destino del povero Yasir, bruciato vivo. Questo per quanto riguarda ciò che tu, mio caro Faustino, definisci bestialità, ma anche per la miseria è la stessa cosa. Senza il mio aiuto, un uomo non sarà mai disperato a tal punto da legarsi al collo un cartone dove dichiara di essere disposto a vendere un rene per sfamare i figli, e piazzarsi all’ingresso della Stazione Termini. Te lo ricordi questo simpatico signore, vero? La stessa cosa vale per te. In ogni manifestazione radicale, definiamola così, di umana degradazione, io ho fornito il mio contributo. Senza di me niente di tutto questo sarebbe possibile. Gran parte della storia è merito mio. Gran parte della storia sono io.
– Menti. L’uomo è questo. Io non ti credo e non ti crederò mai. La miseria e la bestialità dell’uomo sono senza fine e non mi convincerai mai del contrario, mai. Se fosse davvero come dici tu, se tu esistessi davvero sarebbe tutto così… innocuo e consolante, sì, consolante. Ma la verità è che non c’è consolazione per noi. Te lo ripeto, tu sei solo il frutto della mia mente malata. Se solo potessi… scompariresti all’istante.
Quando ero io a parlare lui sorrideva. Quando parlava lui invece era serio. Questa cosa mi mandava in bestia. Mi sforzavo però di restare calmo, calmo e lucido, costringendomi a non dare troppo peso alle sue parole. Era arrivato il momento di lottare con la parte peggiore di me stesso. Era arrivato il momento della resa dei conti e volevo essere all’altezza. Dare in escandescenze non sarebbe servito a niente.
– Va bene, va bene, ho capito. Del resto, te l’ho detto, io non sono qui per convincerti della mia esistenza, né per filosofeggiare, ma per parlarti di affari.
Fuori intanto minacciose nuvole nere si avvicinavano. Marciavano dalle montagne verso il mare e la loro marcia faceva rumore. Tuoni lunghi e gravi, ma ancora lontani, spezzavano il silenzio liturgico della campagna. Era primo pomeriggio, subito dopo pranzo ed ero solo in casa, altrimenti non avrei mai rivolto la parola al Nero. I miei erano a lavoro.
– Sentiamo quali sarebbero questi fantomatici affari, sedicente signore delle mosche. Ti ascolto.
– Gradevole il tuo sarcasmo. Dunque, mio caro Faustino, sono qui per offrirti tutto ciò che desideri e che hai sempre desiderato: la gloria e l’amore. E non un amore qualunque, no… l’amore di Margherita.
Io gli scoppio a ridere in faccia. Rido di cuore, davvero, come non mi capitava da tempo. Il Nero sorride, ma è un sorriso diverso dal solito, un sorriso meno beffardo, tirato, e nei suoi occhi vedo passare un’ombra di irritazione.
– Che ti aspettavi? – gli domando, mentre la risata è agli sgoccioli. – Che ti aspettavi? Che mi sarei gettato ai tuoi piedi e ti avrei acclamato come il mio salvatore? È tutto così scontato, così… dozzinale.
– Mio caro Faustino, ti perdono. Perché so anche perdonare, io. Il diavolo non è mai così terribile come lo si dipinge. La gloria e Margherita, questo è quello che ti offro.
– D’accordo, sei generoso, – decido di assecondarlo, per finire al più presto quella farsa, – ma con la gloria, per esempio, come la mettiamo, visto che ho bruciato tutto?
– Ma dovresti saperlo, mio caro Faustino, che i manoscritti non bruciano, mai.
Detto ciò il Nero ha schioccato le dita ed ecco che sulla scrivania ricompaiono tutti i miei quaderni, tutti, perfettamente intatti, come se non li avessi mai bruciati.
– C’è proprio tutto? – domando con sospetto e anche con una certa sorpresa. Un trucco del genere non me l’aspettavo.
– Controlla tu stesso, – risponde il Nero, afferrando i quaderni e passandomeli. Io li sfoglio velocemente e poi li stringo a me, come una madre stringe a sé i figli dopo averli perduti per qualche ora.
– In ogni caso, anche senza questi manoscritti, credo che Margherita e Cécile ti abbiano regalato degli spunti piuttosto interessanti con le loro storie. Tu puoi far sì che tanto dolore non vada del tutto sprecato, no? – aggiunge il Nero con un sarcasmo affilato come la sua faccia, così affilato da tagliare l’aria. Mentre i tuoni si avvicinano e le nuvole incombono. Già cadono a terra le prime, grosse gocce di pioggia.
– Ecco, a proposito di Margherita, sono proprio curioso di sapere cos’hai da dirmi, anche se posso immaginarlo facilmente, – dico al Nero in tono di sfida, sforzandomi di sorridere.
– Allora dillo tu, senza che sprechi fiato io, mio caro Faustino.
– Va bene, e con questo ti dimostro che non esisti, che sei solo il frutto della mia mente esasperata.
– Be’, potresti sempre immaginare il vero.
– No, immagino sempre quello che vorrei fosse vero, ma che non è mai vero e vale anche per te. Ora lasciami parlare.
– Prego, mio caro Faustino.
– Dunque, per quanto riguarda l’amore di Margherita, niente di più semplice, perché Margherita mi ama già, mi ama dalla prima sera in cui abbiamo parlato, altrimenti non mi avrebbe raccontato la sua storia. Mi ama, ma, al tempo stesso, ha paura di questo amore, perché esploso in fretta. È la paura la ragione del suo atteggiamento ostile, che potrebbe far pensare a un rifiuto, ma che in realtà non è affatto un rifiuto. Margherita pensa a me tutti i giorni, ma la velocità e l’intensità di questo amore, inedite nella sua vita, la insospettiscono e la intimoriscono. Niente di più semplice dunque, così semplice che non servirebbe neppure schioccare le dita.
– Bingo! – esclama il Nero.
Io scoppio a ridere, di nuovo, mentre sulle nostre teste si abbatte il temporale. Anche il Nero ride con me e senz’ombra d’irritazione questa volta.
Ce ne restiamo in silenzio per parecchi minuti. Io sfoglio i quaderni e ascolto il temporale. La corrente va e viene. Il Nero si alza dalla sedia, la rimette a posto e inizia a camminare avanti e indietro per la stanza.
– Pensa, mio caro Faustino, – ricomincia il Nero, ammiccando, – insieme a Margherita e alla fama potresti iniziare una nuova vita e generarne persino un’altra, di nome Luce…
– Sì, certo, come no. E tutto questo in cambio? – domando ostentando noncuranza, e con scetticismo.
– In cambio di un’eternità in mia compagnia, naturalmente. Laggiù non si sta poi così male, fidati, è un posto esclusivo tanto quanto i piani alti, se non di più. Non te ne parlo perché è inconcepibile per ogni uomo, le parole potrebbero solo sfiorarne il senso, e mi sembra un’ottima garanzia questa, non trovi?
– Concordo con te questa volta, ma, a proposito della fantomatica vita ultraterrena, sedicente principe delle tenebre, toglimi una curiosità. È come l’ho sempre immaginata?
– Sì. La vita eterna non è per tutti, altrimenti dove vi metteremmo? Scherzi a parte, mio caro Faustino, la vita eterna è un dono riservato a quei pochi uomini su cui le due forze, comunemente definite bene e male, hanno agito direttamente, permettendo loro di spingersi ben oltre i limiti fissati dalla natura, e ricorda gli esempi che ti ho fatto in precedenza. Per questo motivo si tratta di posti esclusivi. La stragrande maggioranza del genere umano viene ignorata e dopo la morte sprofonda nel nulla, quel nulla dal quale è sbucata fuori un giorno senza la sua e senza la nostra volontà.
– Così io dovrei rinunciare all’ultimo bene che mi resta, alla mia più grande libertà, l’irreversibile ed eterna dissoluzione nel nulla, in cambio della gloria e dell’amore di Margherita.
– Esattamente. Grazie a un mio semplice schiocco delle dita vivresti trenta, trentacinque, facciamo quarant’anni, in modo splendido, ottenendo tutto ciò che desideri da quando hai la capacità di farlo. Poi ti porterei con me e ti farei conoscere parecchia gente interessante, qualche metro più in basso.
Un fulmine cade proprio nel mio giardino, seguito da un tuono improvviso, che mi stordisce e sembra sconquassare le mura di casa. Mi alzo dalla poltrona, a fatica, poso il mucchio di quaderni sulla scrivania e mi accosto alla finestra. Vedo il limone, che sta proprio davanti alla mia camera, spezzato in due. Il tronco, sfasciato dal fulmine, fuma. Era un albero così produttivo, ogni anno faceva chili e chili di limoni. Che peccato. E pensare che per dieci anni se ne era rimasto lì, piccolo e rinsecchito, così piccolo e rinsecchito da sembrare morto. Quante volte mio padre aveva tentato di toglierlo. Tutte le volte mia madre lo fermava e gli diceva di aspettare. Ha avuto ragione.
Dopo aver osservato il limone spaccato mi volto e vedo che il Nero ha mutato completamente aspetto. Si è piegato, incurvato, ingobbito, ha perso tutti i capelli ed è invecchiato. Il suo volto è crivellato di rughe e pallido come quello di un morto. Sembra tremare dal freddo. Non indossa più abiti eleganti e raffinati, ma stracci, ed emana un odore acre, di sudore rappreso. Sembra un barbone. Lo osservo e mi fa una gran pena, così magro, curvo e tremante. Sembra reggersi in piedi a stento, in precario equilibrio su due gambe troppo secche, ridotte a sottili chiodi arrugginiti.
Capisco, ma solo dopo parecchi minuti. Capisco, ma solo dopo essermi sforzato con tutto me stesso di non capire. Davanti a me non ho più il Nero. Davanti a me ho me tra una ventina d’anni e rabbrividisco.
– Ecco cosa ne sarà di te se dirai no, mio caro Faustino. Ecco cosa diventerai, uno straccione che ogni giorno deve inventarsene una per mettere un pezzo di pane sotto ai denti. Un relitto umano che fatica a reggersi in piedi. Ricorda le parole di Cécile: ci aspettano tempi bui, – dice il Nero tornato di nuovo Nero, elegante e beffardo.
– Io lo dico per te, – continua, – perché mi sono affezionato a te come a un figlio. Del resto, ti tengo d’occhio da quando sei un bambino. Forse ho esagerato con te in questi ultimi due, tre anni, e mi dispiace, ma, mettiti nei miei panni, mi stavo solamente creando l’occasione, niente di personale. Ora è tutto nelle tue mani, quello che dovevo fare ed era in mio potere fare, l’ho fatto. Con un semplice sì, con un semplicissimo sì puoi cambiare tutto. Puoi ottenere tutto ciò che hai sempre desiderato e fare felice non solo te stesso, ma anche i tuoi genitori e Margherita. Con il tuo sì regaleresti la gioia a coloro che ami di più ed entreresti nella vita di milioni di persone in tutto il mondo segnandole per sempre. Tu vivrai ancora per trenta, o magari quarant’anni, sì, facciamo quarant’anni, voglio essere generoso oggi, e vivrai come sempre hai desiderato, ma il tuo nome resterà per sempre. Il tuo nome e le tue parole riecheggeranno nei secoli. Basta un sì, un semplicissimo sì.
Mi riaccomodo in poltrona e mi lascio andare all’immaginazione. Quadri splendidi si susseguono nella mia mente, quadri immaginifici. In ogni quadro c’è lei, Margherita, fidanzata, moglie e infine madre della piccola Luce. I riconoscimenti mi piovevano addosso da ogni parte e il successo mi avvolgeva come un manto dorato. Potevo avere tutto quello che desideravo, ma non desideravo niente, perché avevo già tutto.
– No… – sussurro scuotendomi e allontanando quelle sciocche fantasie.
– Sì? – domanda il Nero ammiccando, credendo di avermi ormai in pugno.
– No, – ripeto alzando la voce e guardando il Nero dritto in faccia. – No, no, no! – grido infine. – No! Perché niente di tutto questo è reale! Perché non c’è niente che nasca che non meriti di essere distrutto e… e sarebbe meglio per tutti noi che non nascesse nulla!
La faccia del Nero si accartoccia in uno spasmo doloroso. Grugnisce come un porco, lo vedo allungarsi fino a raggiungere il soffitto, poi rattrappirsi fino a terra e infine scomparire. Con lui scompaiono pure i quaderni.
Quando i miei sono tornati a casa li ho condotti nella mia camera e ho chiesto loro se sentissero puzza di uova marce.
– Io sento solo puzza di muffa. Sarebbe ora di farla ridipingere questa camera, – ha risposto mia madre sbuffando.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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